Prof. Bad Trip – A Saucerful of colours – Lesson #3
Inaugurazione: Venerdì 21 Aprile ore 17:00
Sonorizzazione: uBik
Durata: da Venerdì 21 Aprile a Lunedì 1 Maggio 2017
Sede espositiva: GABA, Piazza Vittorio Veneto 7, Macerata, 62100
Orario per Ratatà Festival : Venerdi 21 Aprile 17:00 – 20:00
Sabato 22 Aprile – Domenica 23 Aprile Orario continuato 11:00 – 20:00
Orario Successivo : Da Lunedì 24 Aprile a Lunedì 1 Maggio (Domenica 30 Aprile inclusa) 11:00 – 13:00 – 15:00 – 20:00
Tabularasa Teké Gallery di Carrara ha il piacere di presentare al pubblico di Ratatà Festival, A Saucerful of colours, la grande retrospettiva dedicata all’opera dell’artista spezzino Gianluca Lerici A.K.A. Prof. Bad Trip scomparso nel 2006. Dopo il grande successo della prima tappa espositiva carrarese tenutasi questa estate presso la Teké Gallery, e della seconda tappa tenutasi a Roma, la mostra approda anche a Macerata all’interno della Galleria dell’Accademia di Belle Arti (GABA), con oltre trenta dipinti, poco conosciuti al grande pubblico, insieme a una serie di opere grafiche, sculture e altri oggetti come francobolli, poster, collage.
Il percorso espositivo ha l’obiettivo di riassumere tutto il lavoro del Prof. Bad Trip, dagli anni ’80 ai 2000, e la sua visione di ciò che è stata la controcultura Punk e Underground dagli anni ’70 ad oggi attraverso ogni forma d’arte, dalla pittura ai manufatti, i libri, i fumetti fino a toccare l’ambito musicale. Una critica feroce, disillusa, ironica di una società tentacolare e asfissiante votata a soffocare ogni tentativo di ribellione intellettuale. Impressionante è la lotta combattuta sulla tela a colpi di colori contrastanti, acidi, estremamente saturi, perfetti da guardare con un paio di occhialini 3D anaglifi, che non possono non farci soffermare di fronte al delirio di dettagli e texture che coprono interamente ogni singola opera. I quadri del Professor. Bad Trip sono un urlo di emozioni contro un mondo che sta morendo, un flusso di coscienza che spara direttamente negli occhi tutti i pensieri di un’artista Visionario che in ogni singola opera vuole condividere col suo pubblico una quantità di emozioni che sarebbe difficile descrivere a parole. Non a caso l’etimologia della parola Visionario non è negativa perché il Visionario è colui che con il suo intelletto, la sua “Visione”, riesce a trovare soluzioni brillanti che possono cambiare e rendere migliore la vita dell’intera collettività. Una visione anche anticipatrice, che suona come un auspicio per le generazioni future, come un desiderio lungimirante quando nell’intervista Apocalittica, contenuta nello splendido catalogo della mostra e che risulta attualissima anche a distanza di molti anni, il Bad Trip dichiara: “spero che, con l’avvento degli Mp3, i cd diventino presto desueti e dimenticati.”
La mostra è corredata da un catalogo a colori contenente gli occhialini 3D anaglifi per la visione delle opere pittoriche e una serigrafia in edizione limitata e numerata. Ad accompagnare tutto l’apparato fotografico delle opere in esposizione vi è poi il bellissimo testo critico di Matteo Guarnaccia e in appendice la versione integrale ed inedita dell’intervista Apocalittica realizzata da Vittore Baroni al Prof. Bad Trip.
Saranno inoltre disponibili due serigrafie a colori, in edizione limitata e numerata, prodotte da Teké Gallery e tratte da due famose tele del Prof. Bad Trip.
Gianluca Lerici – Professor Bad Trip
profilo biografico a cura di Vittore Baroni, Stefano Dazzi Dvořák, Jenamarie Filaccio
Nato a La Spezia il 21 maggio 1963, figlio unico di padre marconista navale e madre “casalinga apprensiva e iperprotettiva”, “muscolaio” (insacchettatore di cozze) l’estate e studente irrequieto il resto dell’anno, a cavallo tra gli anni ’70 e ’80 Gianluca Lerici è conosciuto nella sua zona come “Gianluca Punk”. DJ dai gusti provocatori per la libera Radio Popolare Alternativa a La Spezia dal 1979 al 1983, tra il 1980 e il 1982 egli è difatti attivo anche come cantante nel gruppo hardcore punk Holocaust (dopo qualche anno di rodaggio nella scalcinata band liceale Putrefax), prendendo parte così alla scena italiana del punk più estremo e politicizzato, nell’ambito di quello che sarà poi noto come il Granducato Hardcore. Ritagliando immagini da riviste e libri di storia, Gianluca crea la sua prima fanzine fai-da-te, “Anarchy”, due soli numeri in fotocopia con collage che occhieggiano a Winston Smith (l’ammirato grafico in residenza della Alternative Tentacles dei Dead Kennedys). Tra i vinili punk che ama collezionare, c’è anche il primo album della band hardcore californiana The Angry Samoans, Inside My Brain, uscito nel 1980 per la Bad Trip Records: la vita ci elargisce spesso dei “cattivi viaggi” e quindi, in ossequio alla disincantata attitudine nichilista delle tribù punk, Lerici decide di firmare le proprie creazioni grafiche con la sigla Bad Trip Productions.
Assieme all’amico Benzo del gruppo punk spezzino Fall Out, conosciuto nel ’78 all’uscita di scuola e già compagno di svariate avventure musical-movimentiste, Lerici produce poi la fanzine punk “Archaeopteryx”, in puro “stile Crass”, di cui escono una manciata di numeri tra il 1981 e il 1984 (i primi due in eliocopia, i successivi stampati presso la tipografia anarchica di Carrara), una pubblicazione del tutto organica alla vivace sottocultura hardcore punk dell’epoca (ma a Gianluca capita anche, durante una diretta radio, di cantare Mongoloid dei Devo). Come Bad Trip, Lerici inizia a creare grafiche e articoli per fanzine, disegnando anche magliette autoprodotte e volantini per concerti della scena punk della Lunigiana. Negli stessi anni, partecipa a manifestazioni di movimento e azioni di protesta, entrando più volte in conflitto con le autorità e le istituzioni preposte: viene denunciato per occupazione di centro sociale, danneggiamento, corteo non autorizzato, resistenza e oltraggio a pubblico ufficiale, collezionando sette diverse denunce (e un totale di quattro giorni di carcere). Nel 1983 conosce Jenamarie Filaccio, giovane scultrice americana e futura inseparabile compagna di vita.
Nel 1987, come componente del trio Azione Aliena, Lerici partecipa ad un concerto al centro sociale Kronstatd di La Spezia (in parte documentato su cassetta) e produce materiali grafici per l’omonimo foglio/fanzine “Azione Aliena”. L’anno successivo, assieme all’amico Tingis collabora con disegni, impaginazione e altro alla fanzine “Stanza 101”, stampata a Carrara, per il cui primo numero scrive anche l’articolo “Riciclart!”, sulle tecniche di riciclaggio in ambito artistico dai collage dada ai nostri giorni.
Lasciato per “incompatibilità caratteriale” il liceo scientifico, Gianluca si trasferisce al liceo artistico di Carrara e frequenta in seguito la locale Accademia di Belle Arti dove, dopo un primo anno con indirizzo pittura, si diploma in scultura nel 1988. All’epoca dei corsi in Accademia, in polemica con l’apatia e l’ignoranza dei docenti e dell’intero ambiente studentesco nei confronti delle nuove tendenze dell’arte contemporanea, Lerici si autoproclama Professore, diventando definitivamente il Prof. Bad Trip.
Terminati gli studi, a cavallo tra anni ’80 e ’90 il giovane artista affina il proprio peculiare stile grafico dalle spesse e volitive linee nere, ispirato da autori leggendari della tradizione fumettistica underground e popolare (Basil Wolverton, Ed “Big Daddy” Roth, Robert Crumb, Robert Williams, Magnus, ecc.), ma anche dalle controculture rock e psichedeliche, dai film anomali e inquietanti di David Cronenberg e David Lynch, dalla fantascienza distopica di scrittori come William S. Burroughs, J.G. Ballard e Philip K. Dick, diretti precursori dell’immaginario “cyberpunk” di William Gibson e Bruce Sterling. Il lavoro incessante e il segno rugoso e allucinato sempre più inconfondibile, conducono ben presto Gianluca ad ampliare il raggio delle sue collaborazioni ben oltre i confini della scena hardcore della Costa Ovest. Uno stretto sodalizio si stabilisce in particolare coi membri del collettivo milanese delle edizioni ShaKe, guidato da E. “Gomma” Guarneri e Raf Valvola, per la cui “rivista internazionale underground” “Decoder” Lerici realizza numerosi e allucinati collage di copertina, deliranti storie a fumetti di coatta degradazione punk e orwelliane illustrazioni tecno-tribali.
Grazie alla visibilità di “Decoder”, una delle più note e apprezzate fanzine italiane dell’epoca, l’arte del Prof. Bad Trip (che pur non fa alcun uso di computer) viene sempre più identificata – e indotta ad identificarsi – con le problematiche del movimento cyberpunk, in piena espansione nei primi anni ’90, auspicando una fusione di tradizioni controculturali libertarie e nuove tecnologie informatiche ed introducendo inedite figure ribellistiche (come quella dell’hacker). Si ampliano di conseguenza per Lerici anche i contatti e le collaborazioni con altre case editrici, nel settore del fumetto indipendente e dell’illustrazione (R&R Editrice) o vicine alle culture antagoniste (AAA Edizioni, Castelvecchi, Stampa Alternativa, Manifesto libri), ma senza trascurare i rapporti con grandi editori come Mondadori, per cui l’artista realizza numerose copertine (tra le più note, quelle per i primi libri di Niccolò Ammaniti). Nel tempo, Gianluca avrà modo di occuparsi delle copertine di alcuni dei suoi autori di riferimento, come il teorico del situazionismo Guy Debord (per gli Oscar Mondadori) e l’autore di fantascienza P.K. Dick (per Agenzia X), lo scrittore di storie del mistero Edgar Allan Poe (I Miti Mondadori) e il “nome multiplo” Luther Blissett (Mondadori, AAA Edizioni).
In particolare, Lerici realizza numerose illustrazioni per vari libri e pubblicazioni anomale delle AAA Edizioni degli amici Piermario Ciani e Vittore Baroni, completando nel 1996 le 48 “mostruose” cartoline in bianco e nero dell’originale libro da ritagliare Freak Shock, purtroppo mai giunto a pubblicazione. Tavole di Prof. Bad Trip appaiono anche su popolari riviste con distribuzione in edicola come l’influente “Frigidaire” (Stefano Tamburini è uno degli autori di culto di Gianluca) e “Tempi Supplementari”, i mensili musicali “Rockerilla” (dove cura la “rubrica di ossessioni e spazzatura culturale” “Trash”, su testi di Vittore Baroni) e “Rumore” (la strip “Rumore”), “Pulp libri”, “Tic”, ecc. Parallelamente, continuano le collaborazioni “militanti” con una gran quantità di fanzine, fogli politici di movimento e pubblicazioni sotterranee, che spesso sfoggiano disegni di Bad Trip in copertina: “Vinile”, “DeriveApprodi”, “Perterra”, “Insekten Sekte”, “Delirio”, “Underground”, “Cyber Zone”, “Techno Body Way”, “Amen: this is religion”, “Aparte”, “Next Exit”, ecc. ecc.
Assecondando la propria passione per la musica rock e la sperimentazione sonora, Gianluca crea inoltre negli anni un’infinità di copertine discografiche, locandine, poster e magliette per un gran numero di gruppi punk e formazioni dell’area industrial-elettronica (Fall Out, Polvere di Pinguino, Nuts, Double Deck 5, Starfuckers, Meathead, Zeni Geva, The A-10, Officine Schwartz, Psychic TV, Le Forbici di Manitù, Evolution So Far, Gargantha, Radio Zero, ecc.). Accetta poi da una nota etichetta di La Spezia commissioni commerciali per la realizzazione delle copertine di numerosi bootleg e dischi dal vivo non ufficiali di leggende del rock (The Who, Jimi Hendrix, Frank Zappa, Led Zeppelin, Van Halen, Yes, Santana, AC/DC, ecc.), ideando per alcuni di questi pure elaborati libretti illustrati. Molti anche i manifesti e lavori grafici realizzati per Centri Sociali dell’intera penisola, da Milano a Palermo, e per feste e manifestazioni dell’area anarchica (a cui, per le sue schiette convinzioni anarco-libertarie si sentirà sempre molto legato), o per situazioni congeniali come l’associazione culturale Katodik Karma di La Spezia (per una più completa lista annotata di collaborazioni e pubblicazioni, si veda l’articolata sezione dedicata a Gianluca Lerici del sito www.gomma.tv curato da E. “Gomma” Guarneri).
Dal settembre 1989, Gianluca svolge a Salerno il servizio di leva obbligatorio presso l’89a Brigata di Fanteria “Salerno”, per cui ha l’incarico di disegnare, nel suo stile fumettistico solo blandamente camuffato, il calendario ufficiale del 1990 (oggi una rarità per collezionisti). Durante la naja continua a realizzare tavole, disegni e collage seppure in condizioni precarie, utilizzando anche timbri e cancelleria sottratta agli uffici militari. Appena concluso il servizio militare, Gianluca trova impiego presso un liceo artistico privato di La Spezia dove insegna per un anno materie artistiche, divenendo a tutti gli effetti “Professore”, un’esperienza che ripeterà in seguito tenendo un corso presso il NABA (Nuova Accademia di Belle Arti) di Milano.
A cavallo tra gli anni ’80 e ’90, Bad Trip registra alcune cassette “casalinghe” in tiratura limitata, suonando assieme a Jena con tastierine elettroniche e strumenti giocattolo ed utilizzando le sigle di vari gruppi fantasma (Garbage Pail Kids, The Body Parts, The Bad Trips, ecc.). Gianluca ama inoltre esibirsi in feste private e situazioni pubbliche nelle vesti di disc jockey, attingendo i vinili dalla sua cospicua collezione e adottando diverse denominazioni (Prof. Bad Trip DJ, Vinyl Junkie DJ, Jocko Homo DJ, DJ Partizan, ecc.) in rapporto ai diversi generi di musica proposti, che spaziano dal pop-trash dei ’50 alla psichedelia classica, dalla musica folk politica italiana dei ’60-’70 all’hardcore techno più pestona. Per Halloween può capitare spesso di imbattersi nei dj-set di Gianluca alla Scaletta o al Portrait Cafè di La Spezia, ma il Professore prepara anche vere e proprie esibizioni a tema, come la selezione di musiche robotiche (elettronica ’70, industrial ’80, techno-trash ’90) che nel 1999 presenta sotto il titolo Il garage ermetico alla Galleria del Museo dell’Arredo Contemporaneo di Russi (Ravenna).
Nel 1991 Lerici completa la storia a fumetti “Dirk Dare the Dark Surfer” su testi di Baroni per un progetto dell’etichetta discografica milanese Vox Pop / Pop Eye, mai giunto a pubblicazione, che prevedeva un albo con allegato il singolo in vinile a 45 giri del brano “Island of the Surfin’ Zombies” direttamente ispirato al fumetto, già registrato dalla band Sixties ravennate Franz & I Vigliacchi. Nello stesso anno, l’artista partecipa al progetto collettivo Stickerman, lanciato da Piermario Ciani, realizzando una serie di strip con le avventure del supereroe in calzamaglia Stickerman, il “primo fumetto autoadesivo” da appiccicare nel tessuto urbano quale forma di (micro)street art.
Nel 1992 le edizioni ShaKe pubblicano in volumetto cartonato Il pasto nudo a fumetti, liberamente ispirato all’omonimo e controverso romanzo (più volte sequestrato per oscenità) del leggendario scrittore William S. Burroughs e introdotto da un’intervista inedita alla paladina della Beat Generation Fernanda Pivano, una visionaria discesa negli abissi della dipendenza da droghe pesanti che resta a tutt’oggi l’opera più nota di Prof. Bad Trip.
Trasferitisi agli inizi dei ’90 nel paesino di Castelpoggio, in provincia di Carrara, Gianluca e Jenamarie approntano qui un piccolo laboratorio casalingo per stampa serigrafica (detto scherzosamente “prigione cubana”), sperimentando su carte, stoffe, pvc adesivi e sui più vari materiali anche mediante xilografie, timbri incisi a mano e altre innovative contaminazioni di tecniche diverse. La sede di Castelpoggio – in cui vengono auto-prodotte a getto continuo edizioni di cartoline, poster, figurine, adesivi, francobolli, micro-comics, magliette, ecc. – assume il nome di Organic Mutation Institute, una pseudo-istituzione fantastica che si ripromette di preservare e promuovere immagini relative a creature che hanno subito mutazioni organiche (per cause genetiche, disastri ecologici, guerre chimiche, ecc.). Dall’antico borgo alle pendici delle Alpi Apuane, Lerici intreccia contatti, scambi e collaborazioni artistiche con decine di autori internazionali parte del circuito planetario della mail art o del frastagliato universo del fumetto underground, attivando sinergie in particolare col milanese Matteo Guarnaccia (figura storica dell’underground tricolore) e col disegnatore olandese Marcel Ruijters, autore con cui realizza pure alcune tavole a quattro mani (vedi la copertina del libro/rivista La Bestia 1. Narrative invaders!, edito nel 1997 da Costa& Nolan). Proficuo anche l’incontro col collezionista e storico della cartolina romano Enrico Sturani, che a Bad Trip commissiona e pubblica svariate cartoline, coinvolgendolo in diverse iniziative.
I contatti del network postale portano alla pubblicazione di lavori anche su varie riviste, fanzine e raccolte internazionali. Il Prof. è, ad esempio, l’unico autore italiano incluso con due illustrazioni in Revelation X (Fireside / Simon & Schuster, New York 1994), seconda “bibbia” antologica della Church of the SubGenius di J.R. “Bob” Dobbs, un sotterraneo e satirico anti-culto popolarissimo in nordamerica poi introdotto al pubblico italiano dal volume La Chiesa del SugGenius (Prog Edizioni, Sarzana 1997) a cura di The SubJesus, Guido Slitta e Khiko, per cui Lerici realizza la copertina e varie illustrazioni.
Tra il 1994 e il 1996, Gianluca dà vita a La Spezia con Jena, Chicco Crash e Massimo alle edizioni Comicland, un centro indipendente di distribuzione per libri e fumetti di varie case editrici alternative che produce anche in proprio quattro antologie sul modello dei classici albi di comix underground statunitensi (alla “Zap”). Presentando fumetti editi e inediti di Bad Trip e altri autori, gli albi (Bad Trip Comix, Double Dose, Bad Mutants e Psycho) riscuotono un notevole successo sotterraneo. Restano incompiute, per la cessata attività di Comicland, due antologie già programmate sui temi The Beast e Paranoid Hallucinations, così come un “gioco dell’oca apocalittico” già pronto alla stampa nel 1995 (il progetto di un “gioco in scatola” verrà in seguito rielaborato e proposto per pubblicazione come strenna natalizia a Mondadori, senza successo).
Comicland cura anche la distribuzione di originali magliette, poster, serigrafie, cartoline e set di figurine di Prof. Bad Trip. Quello delle “trading cards” autoprodotte, versione alternativa delle tradizionali figurine di calciatori, è un settore che intriga particolarmente l’artista, il quale nel corso degli anni ’80 e ’90 realizza e stampa in tiratura limitata varie serie tematiche, dai protagonisti cibernetici e mutanti dei suoi fumetti alle “Rockstars of Tomorrow”, dalle figurine di musicisti rock da culto realizzate per “Rumore” alle 16 “Trash Trading Cards” orrorifiche accluse nel 1990 al n. 62 della rivista di mail art “Arte Postale!”.
Senza mai abbandonare del tutto il disegno a china, dai primi anni ’90 Lerici si dedica sempre più intensamente alla pittura, realizzando opere su tela in varie dimensioni, perlopiù dipinte in vividi colori acrilici, che inizia ad esporre in mostre per spazi pubblici e privati. L’autore avvia in particolare una stretta collaborazione con la galleria Mascherino diretta a Roma da Stefano Dello Schiavo, che lo vede proporre nel 1995 la sua prima personale di alto profilo, Professor Bad Trip – Mostra di Psicopitture, seguita da una seconda personale nel 1997 e nel medesimo anno da Brain Danger in coppia con Jenamarie Filaccio (sculture in marmo di Jena e quadri di Gianluca), più varie altre collettive ed eventi organizzati dalla galleria capitolina. Un’altra mostra a due, con maschere/sculture di Jena dipinte da Bad Trip è poi Wall-Heads (1998) presso il circolo Cabaret Voltaire di La Spezia, a testimonianza del peso dell’influenza reciproca tra le poetiche dei due artisti. Tra le molte mostre collettive a cui il Professore prende parte, figurano Blood Runner (Rave hangar Fiat, Roma, 1995) e D.E.V.O. – Dinamiche Evolutive Visioni Organiche (Galleria Giulia, Roma, 1996).
Nel 1997, Gianluca e Jena lasciano Castelpoggio e si trasferiscono nuovamente in un appartamento nel centro di La Spezia. Difficile ormai tenere il conto delle mostre personali e collettive che si succedono senza pause, da quelle spezzine (ad esempio, Pitture e grafiche psicotrope a PerForm Arte Contemporanea nel 2002) a quelle in giro per l’Italia, come la personale al Crossing Arte Club di Portogruaro (Venezia) e Illusione ottica presso il Futurarium di Milano, entrambe del 2001, o l’anno successivo la mostra/performance Hotel Madison room 666 in compagnia di Alberto Biagetti e Luigi Berardi, all’Hotel Madison di Milano. In occasione delle diverse esposizioni, hanno modo di scrivere dell’opera di Bad Trip vari critici e addetti ai lavori attenti ai nuovi sviluppi dell’arte contemporanea più vicina alle sub-culture pop (dal Pop Surrealism all’arte Lowbrow): Matteo Guarnaccia, Carlo Branzaglia, Pablo Echaurren, Gianluca Marziani, Roberto Rossini, Boris Brollo, Olivia Cozzani, Luca Raffaelli, ecc.
Mantenendo un saldo trait d’union con la cultura popolare vintage di cui è appassionato ed esperto, Lerici realizza molti suoi quadri con vividi colori complementari che producono effetti “lisergici” e illusioni di profondità, soprattutto se osservati attraverso gli occhialini bicolori usati fin dagli anni ’50 per la visione di fumetti e film in 3D (a volte, un paio di occhialini rosso/verdi viene fissato direttamente alla tela tramite una cordicella). I temi preferiti dei dipinti, non di rado accostabili tra loro in dittici, trittici e installazioni multiple anche di rispettabili dimensioni (il trittico anti-militarista “Shoot Kill Shoot” ad esempio misura cm. 60×240), sono gli stessi della produzione di fumetti, illustrazioni e collage, ma stilizzati e sintetizzati in icone di esemplare potenza: simbologie della tradizione psichedelica (occhi, teschi, funghi allucinogeni), robot semi-umani e altri incubi tecnologici, demoni e inquietanti divinità pagane, spauracchi di guerrafondai, ricchi capitalisti e prelati corrotti, freaks mutanti, giganteschi insetti antropomorfi, creature aliene, ecc. Si avvicendano poi negli anni nuove serie tematiche, spesso legate ad una compenetrazione organica di natura e tecnologia: profondità spaziali solcate da meteore e astronavi, un acquario abitato da pesci psicotici e piante gommosamente minacciose, forme floreali inusitate e macroscopici ingrandimenti di cellule policrome colte in bizzarri processi di clonazione.
Nel 2002, a dieci anni dal libro di esordio Il pasto nudo, Mondadori pubblica negli Oscar l’antologia di fumetti e illustrazioni Almanacco apocalittico, con un’intervista a Prof. Bad Trip firmata dal “multi-individuo” Luther Blissett. Nello stesso anno, presso la Mondo Bizzarro Gallery di Bologna vengono esposti quadri e grafiche del Professore nella mostra Psychedelic Solution. Nel frattempo, negli anni 1998-2000 il musicista contemporaneo goriziano Fausto Romitelli (prematuramente scomparso nel 2004) compone una delle sue opere più rappresentative, la trilogia Professor Bad Trip ispirata dalle tavole di Gianluca. L’opera viene incisa e pubblicata su cd nel 2003 dall’ensemble belga Ictus, nell’album intitolato Professor Bad Trip su etichetta Cypres.
Nei primi anni del nuovo millennio, oltre che nel disegno, nella pittura e nella scultura, Lerici si cimenta con rinnovato entusiasmo anche in una serie di progetti di design per esposizioni di livello internazionale. Realizza un vestito da “dopobomba” per un manichino che riproduce a dimensioni naturali l’artista, nell’ambito della rassegna collettiva Dressing Ourselves a cura di Alessandro Guerriero per la Triennale di Milano del 2005 (catalogo Charta), mentre nell’aprile 2006 “fodera” di suoi pattern un’intera stanza per la mostra Remida alla Galleria Cernaia di Milano. Vengono poi prodotte borse in tiratura limitata per Yoox e altri elementi di design e arredo (tappeti, cuscini, kimono, pattern per tessuti, sedie, tavolini, lampade e mobili “illustrati” in stile Bad Trip).
Per incrementare questo tipo di produzioni, Gianluca e Jena danno avvio nel 2004 in uno studio-laboratorio a Bottagna (frazione del comune di Vezzano Ligure, nella campagna spezzina) al progetto “Gli Insoliti Ignoti”, un collettivo artistico che si occupa di “arte sociale e libertaria, riciclaggio, produzioni a bassa tecnologia e design dell’accatto”. Nella show-room del gruppo, composto oltre che dalla coppia da Alessandro Donini e Andrea Berti, trovano posto pitture, sculture, incisioni, collage, t-shirt, mobili, lampade psichedeliche e altre suppellettili, spesso materiali di scarto restaurati e riadattati con interventi grafici. Gli Insoliti Ignoti organizzano installazioni e video-party nel loro spazio a Bottagna, ma curano anche mostre e interventi multimediali in diverse situazioni, come la collettiva di arte underground Intersezioni 2 al C.S. Interzona di Verona (2004) o la rassegna Estraneamente 2 alla Fortezza di Sarzanello (2005) e la collettiva Saluti dalla Costa Ovest al C.S.O.A. Cox 18 di Milano (2005).
Fin dai primi anni ’80, Gianluca ama eseguire dipinti murali in spazi di movimento in giro per l’Italia, sull’esempio del grande affresco creato all’entrata del Kronstadt, ex-scuola e primo centro sociale occupato di La Spezia. Il murale più noto dell’artista è però il caleidoscopico mosaico realizzato proprio sul soffitto della show-room degli Insoliti Ignoti, definito da più parti “la Cappella Sistina dell’underground”. Le attività del gruppo vengono annunciate dal 2005 tramite il bollettino gratuito “L’isola degli Ignoti” che, conclusa quell’esperienza, si trasforma nel 2006 nella micro-zine gratuita “L’Isola del Professore”. Di quest’ultima, escono tra l’agosto e il novembre 2006 ben sette numeri, per aggiornare in tempo reale sulle nuove attività e produzioni dell’artista. Il quarto numero della zine contiene un personaggio da ritagliare e abbigliare con un fantasioso “vestito d’artista per guerre psichiche”, mentre il n. 7 informa di una mostra ancora in fase di preparazione, Nexus, con teste androidi dipinte in omaggio a P.K. Dick.
Nel 2005, Lerici vince a Livorno il prestigioso premio Ciampi “L’altrarte”, firmando tra le altre cose un evocativo ritratto del cantautore Piero Ciampi. Sempre attivissimo localmente, per la sola Osteria dei Fondachi di Sarzana realizza, tra il 2004 e il 2005, oltre venti spettacolari locandine per diversi concerti organizzati nel locale. Nel gennaio 2006, l’artista avvia il progetto musicale Greetings From Hell, che prevede la recitazione di un cut-up di testi anarco-patafisici-neo situazionisti da parte del Professore su basi elettroniche e “psichedelia malata” remixate da vari d.j. (M16, Christo e The Kingdom, ovvero il fido collaboratore Emiliano Ponzanelli), con aggiunta di video-clip realizzate dalla V.J. Signorina Rottermeier (ad esempio, animazioni con pupazzetti e piccoli robot creati da Bad Trip che ballano la musica techno). Lo stesso anno il Professore cura per il centro sociale Cox 18 di Milano una sua mostra retrospettiva, presenziando il 15 novembre all’inaugurazione e alla concomitante presentazione del libro collettivo Lumi di punk (Agenzia X) curato da Marco Philopat, a cui partecipa con un intenso testo autobiografico. Per Cox 18 l’autore realizza anche le tavole originali di Saluti dall’inferno, un originale calendario per l’anno 2007 coi volti di vari “dannati” del rock (oltre a quelli di personaggi che hanno fatto dannare noi in vita, come G.W. Bush e Silvio Berlusconi), pubblicazione che però non avrà il piacere di poter sfogliare alla parete.
Gianluca Lerici muore difatti stroncato da un infarto il 25 novembre 2006, all’età di 43 anni, lasciando in eredità una incomparabile e sconfinata produzione artistica, un labirintico mosaico di espressioni nei più diversi media, con esplosivi cromatismi e abbacinanti contrasti optical in b/n che ci raccontano la fine della civiltà contemporanea e la sua incerta rinascita in inedite prospettive distopiche, attualizzando le culture visionarie dei ’60 ma anche temi classici della grande arte popolare a sfondo sociale. L’arte fiammeggiante del Prof. Bad Trip non si spegne però quel giorno, così come non si chiude il terzo occhio inciso a sangue su tre decenni di perbenismo e ignavia culturale, dai plumbei ’70 ai narcolettici anni Zero.
Per ricordare Gianluca, già unanimemente considerato uno dei più importanti artisti visivi underground della scena italiana ed europea degli ultimi decenni, nel 2007 e 2008 vengono approntate a cura di Jenamarie Filaccio e delle edizioni ShaKe due antologie, L’arte del Prof. Bad Trip e I fumetti del Prof. Bad Trip, che raccolgono un’ampia e significativa campionatura della produzione artistica e fumettistica dell’autore. Nel 2008, la Biennale Europea di arte contemporanea Manifesta 7 dedica a Bolzano un omaggio all’artista scomparso, celebrandolo come figura di rilievo della cultura cyberpunk.
Preceduta in città nel maggio 2009 dalla mostra Ricordando Gianluca Lerici presso il Raisart Studio, dal 26 settembre 2009 al 24 gennaio 2010 il Centro Arte Moderna e Contemporanea CAMeC di La Spezia – su impulso di una “petizione popolare” che rapidamente raccoglie centinaia di firme – organizza l’ampia retrospettiva Prof. Bad Trip – La rivoluzione visuale di Gianluca Lerici, a cura di Jenamarie Filaccio e Doriana Carlotti, con corollario di vari eventi e conferenze che analizzano la sfaccettata carriera dell’artista.
Negli anni seguenti, vengono allestite numerose altre mostre e tributi sia a La Spezia (al Circolo Anarchico Binazzi nel 2011, ad esempio) che in altre città italiane (alla Traffic Gallery di Bergamo tra 2010 e 2011, alla Galo Art Gallery di Torino tra il 2011 e il 2012) ed europee (presso la Xlab Corrosive Art Farm di Berlino nel 2010). Nel 2014 Lerici giunge per la prima volta al Sud d’Italia con l’esposizione La musica disegnata di Gianluca Lerici – Professor Bad Trip al Palazzo Caputi di Ruvo di Puglia, curata dall’associazione culturale La Mancha. Sul fronte musicale, nel 2012 l’etichetta newyorkese Tzadik pubblica l’album postumo Anamorphosis di Fausto Romitelli (con Talea Ensemble), che riporta in copertina il dipinto Half Human di Lerici. Nel 2014, il vol. 24 n. 3 della rivista di musica contemporanea canadese “Circuit”, interamente dedicato a Romitelli, ha in copertina e all’interno illustrazioni di Prof. Bad Trip.
Nel gennaio 2015 opere di Lerici e Filaccio vengono esposte congiuntamente a Pietrasanta dalla galleria Dovedesign, sotto il titolo Prof. Bad Trip & Good Jena. Nei primi mesi del 2016, nel decennale dalla scomparsa dell’artista, la Fondazione Cassa di Risparmio di La Spezia ospita invece presso lo Spazio 32 la mostra Professor Bad Trip’s Illustrated World. Tra i vari incontri ed eventi concomitanti, il Teatro Civico di La Spezia presenta un concerto tributo, ad ingresso gratuito, con l’esecuzione dell’opera Professor Bad Trip di Fausto Romitelli da parte dell’Eutopia Ensemble.
Gianluca Lerici – Professor Bad Trip – PUBBLICAZIONI SELEZIONATE
Il pasto nudo, ShaKe Edizioni, Milano 1992
Mondo Tecno, R&R Editrice, Spoleto 1993
Bad Trip Comix, Comicland, La Spezia 1994
Double Dose, Comicland, La Spezia 1994 (con Matteo Guarnaccia)
Bad Mutants, Comicland, La Spezia 1995 (con autori vari)
Prof. Bad Trip’s Cybercards, Comicland, La Spezia 1995 (cofanetto di 30 figurine)
Psycho, Comicland, La Spezia 1996
Underground Masters, Comicland, La Spezia 1996 (ristampa congiunta, con diversa copertina, di Bad Trip Comix e Double Dose)
Italian Mutant – Pop Art, Mondo Bizzarro, Roma 2000 (con Dast, Massimo Giacon, Stefano Zattera)
Almanacco apocalittico, Mondadori, Milano 2002
Saluti dall’inferno – Calendario 2007, Cox18 Books, Milano 2006
L’arte del Prof. Bad Trip, ShaKe Edizioni, Milano 2007
I fumetti del Prof. Bad Trip, ShaKe Edizioni, Milano 2008
L’agenda del Professor Bad Trip, autoprodotto, La Spezia 2014
Professor Bad Trip’s illustrated world, Spazio 32, La Spezia 2016
Gianluca Lerici – Professor Bad Trip – DISCOGRAFIA
Aa. Vv., Assillo Politico (cassetta, Play At Your Home Records 1982) 5 brani degli Holocaust
Aa. Vv., Dark Movements n. 1 (cassetta, Oscuri Prodotti Records 1982) 1 brano degli Holocaust
Aa. Vv., Some Waves (cassetta, Graf Haufen Tapes 1983) 1 brano degli Holocaust
Azione Aliena / Yellow Yawn, Mostruosità Acquisita (cassetta, Alien-Action Tapes 1987) split tape con 8 brani di Azione Aliena (Prof. Bad Trip, Tingis e Plattinum Titti)
Aa. Vv., Batmaniacs On The Loose (cassetta, Trash Tapes 1989) 1 brano dei Garbage Pail Kids
Aa. Vv., Soundtrekking For Mutants (cassetta, Trash Tapes 1989) 2 brani dei Garbage Pail Kids
Garbage Pail Kids, Garbage Pail Kids (cassetta, Sub-Trash Tapes 1990) 11 brani del progetto sonoro di Professor Bad Trip e Jenamarie Filaccio
Aa. Vv., Trash Kids (cassetta, Organic Mutation Institute 1991) 17 brani di Garbage Pail Kids e altre ghost-band create da Gianluca Lerici
Aa. Vv., Urla dal Granducato, (lp/cd, Area Pirata 2002/2003) 1 brano degli Holocaust
The Doodlebugs con Gianluca Lerici, Saluti dall’inferno (demo, 2006) 3 tracce inedite, testo e voce di Prof. Bad Trip
LO STRANO CASO DEL SIGNOR LERICI E DEL DOTTOR BAD TRIP
di Matteo Guarnaccia
L’appassionante progetto artistico di Gianluca Lerici, si è svolto, come quello di Plinio il Vecchio, rasente alla bocca di un vulcano in eruzione, magari indossando occhialini dalle lenti rosso blu 3D, per non perdersi nulla del cataclisma in atto.
Il piano programmato da questo tenace ex coltivatore di mitili di La Spezia, si rivela in tutta la sua malizia sin dalla scelta di uno scorticante nom de plume – Bad Trip – il cui significato, per chi fosse a digiuno di culture dopate, fa riferimento alle problematiche che possono emergere in seguito a un’esperienza negativa con l’acido lisergico; quelle situazioni in cui il viaggiatore invece di godersi un senso di oceanica empatia con il creato, avendo come compagni di avventura bodhisattva, unicorni e arcobaleni, si ritrova scaraventato in un orribile rave claustrofobico tra demoni malnati e puzzolenti.
Raggiunta l’età giusta per arruolarsi in una subcultura, si accorge che è troppo tardi per diventare un hippie, quando vede la purple haze hendrixiana trasformarsi nello smog diossinico dei fuochi dei pneumatici ai bordi delle statali, e le buone vibrazioni californiane nel ronzio del frigorifero di casa che sta partendo. Viste le premesse non può che innamorarsi della scena post-punk dei Dead Kennedys e degli Angry Samoans (che tra l’altro incidevano per l’etichetta “Bad Trip Records”). In questa veste il nostro si esibisce sul palco e poga a ripetizione in locali improbabili della no flight zone che si stende tra gli svincoli autostradali della Cisa e la suburbia della Lunigiana, sviluppando una sana e produttiva rabbia per “la volontà dei ceti culturali di tutti i partiti politici e di tutte le istituzioni italiane di cancellare la storia dei movimenti degli anni precedenti lasciandoci senza futuro e senza passato”. La sua missione, portata a compimento, è ricercare il missing link tra le diverse sensibilità che la cultura alternativa ha espresso nel tempo, per rivendicare con fierezza che i suoi anni ’90 non sono altro che gli anni ’60 upside down. Un’attitudine pirotecnica lo spinge a diventare un agitprop nel bizzarro mondo delle autoproduzioni underground. Usa inchiostro nero pece che odora di vinile, disegna con sublime pignoleria, diffonde la sua opera esagitata sotto forma postale, xerox, ipodermica, discografica e tessile (le t-shirt!). In lui si fondono due visioni: quella di un Wogelmut in felpa nera e di un Douanier elettrico. Entrambi non hanno più dinanzi a loro né la fede né una natura rigogliosa come nel modello originale, ma un mondo cannibalizzato dalla produzione capitalista, dove l’anatomia degli esseri umani rivela sempre più spesso segni d’implantologia e l’introduzione forzata di sostanze sospette nel sistema nervoso. La modalità espressiva di Gianluca Lerici è allo stesso tempo primitiva e moderna, colta e popolaresca, raffinata e canagliesca, è un mix di angst esistenziale e stupore infantile. Un segno impeccabile applicato a mano ferma sull’epidermide della contemporaneità con un ago arruginito. Il suo piece de resistence è un classico bianco e nero da xilografia, erede diretto della potente iconografia protestante tedesca, in particolare di quella legata alla “Totentanz”, madre di tutte le devianze underpop, e così cara agli espressionisti. Sbrigativamente etichettato come artista cyber-punk (a dispetto della sua aperta ostilità verso il mondo digitale) è da considerarsi a tutti gli effetti come un perfetto esponente dell’arte popolare a sfondo sociale. Nella felice tradizione di José Posada o Frans Maseerel, Gianluca è un moralista che visiona alla moviola scismi, dubbi e apocalissi, svillaneggiando i mali del mondo; è un monaco senza dio né padroni, un techno-amanuense che ha redatto una versione hardcore della “Biblium Pauperum”, sbraitando coi suoi pennelli anatemi contro il potere che, giorno dopo giorno, va calpestando (con scarponi catodici chiodati) la sovranità della nostra psiche. La sua è una visione labirintica dove l’optical sposa il vudú; un prodotto di sintesi di una sensibilità febbricitante e ipocinetica che, mimando intossicazioni chimico-alimentari, immagina il presente attraverso gli occhi di un biscazziere che sa che i giochi sono fatti e che i dadi sono truccati. Ha persino l’ardimento di ridurre a fumetti Il Pasto Nudo di William Burroughs, il cui successo gli permette di accedere allo stato di pop celebrity, allargando i suoi cerchi di contaminazione a livelli di visibilità sempre più ampia.
Le tele psicoattive, brulicanti di vita stupefacente come reef corallini, sono il compendio della sua fissazione per le mutazioni organiche. Qui sfida sfacciatamente le teorie sul colore di Albers, attizzando risse cromatiche e vertigini ottiche, rielabora le forme scoperte al microscopio da Haeckel o i pupazzi asessuati di Jacovitti e Depero.
Il campo di azione della sua indagine è la fragile no man’s land che si estende tra psichedelia e psicosi; il suo cervello è una Kronstadt interiore sotto assedio, in cui resiste barricato, un improbabile universo canagliesco composto da teneri mostri da baraccone, deformati, ingolfati di spezie e abbruttiti da overdose di realtà parallele. Come il regista Tod Browning, Gianluca difende l’umanità dei “Freaks” contro la mostruosità e la nequizia della gente di plastica. In fondo al percorso c’è tempo per una sorpresa, il vero colpo di scena narrativo, è scoprire che l’artista ha intrapreso il suo Brutto Viaggio con grande amore e rispetto per gli altri passeggeri che hanno scelto di accompagnarlo. Per quanto si applichi nell’interpretare il ghigno sfrontato con cui ha deciso di presentarsi al mondo – un’interessante variante della mimica di Sid Vicious o meglio dell’Elvis “hound dog” – non riesce a celare del tutto il suo sorriso da piccolo teppista gentile.
Professor Bad Trip
Intervista apocalittica
(the Director’s Cut)
Il cybernautico Gianluca “Professor Bad Trip” Lerici, per anni testimonial di controculture virtuali e guru del più robotico immaginario techno-trash, in realtà non possedeva e non utilizzava il computer. Del resto, è noto che anche Bruce Sterling, iniziatore e ideologo della fantascienza cyberpunk, ha battuto i suoi primi romanzi su una comune macchina da scrivere. Per l’appendice del suo Almanacco apocalittico, uscito nella Piccola Biblioteca Oscar Mondadori nel marzo 2002, il Prof. mi chiese di condurre con lui un’intervista postale. Inviai dunque una lunga serie di domande, che lui poi selezionò e integrò con altre farina del suo sacco (attribuite a tal Mister K) e con un paio di interrogativi suggeriti dall’amico Marco Philopat. Non molto tempo dopo, l’artista mi fece pervenire una busta con tutte le risposte ordinatamente redatte a mano su ben cinquantacinque fogli protocollo a quadretti, ciascun argomento corredato di minuziose note e relativa bibliografia. Per Mondadori effettuai il necessario lavoro di editing (ça va sans dire, non retribuito) eliminando le note e snellendo notevolmente il testo, sicché varie e sostanziose parti sono rimaste finora inedite. La Mondadori chiese inoltre di poter firmare l’intervista col nom de plume Luther Blissett, da me altre volte utilizzato (in incognito, nell’ambito del LB Project) e che all’epoca godeva di una certa notorietà mediatica. Quando infine Gianluca ebbe in mano una copia dell’Almanacco, il suo primo libro per un colosso editoriale, quasi si mise a piangere scoprendo con raccapriccio la pessima qualità della carta adoperata e la stampa oltremodo impastata e tendente al grigio. L’antologia, tra l’altro, presentava forzature nella reimpaginazione delle tavole, proporzioni sballate, ed era del tutto priva di informazioni sui lavori riprodotti. Più che un trampolino di lancio per l’arte del Professore, l’Almanacco apocalittico si rivelò alla prova dei fatti una mezza occasione mancata. L’intervista originale rimasta finora nel cassetto, probabilmente la più estesa e scrupolosa mai rilasciata dall’autore spezzino, meritava però di essere letta per intero, arricchita dalle diligenti note che disegnano un quadro completo delle sue passioni e influenze artistico-letterarie. Ecco quindi un fedele “Director’s Cut” del testo, esattamente come stilato con grandi lettere in stampatello dal Professore nel 2001. Seguite senza distrarvi la lezione, che da domani si interroga!
Vittore Baroni
Legenda
VB = Vittore Baroni (critico musicale e artista)
MP = Marco Philopat (scrittore)
MK = Mister K (critico anonimo)
PBT = Professor Bad Trip
B = Bibliografia
MK: Cominciamo dall’inizio: da dove viene il nome Professor Bad Trip?
PBT: L’uso del nome Bad Trip risale all’inizio degli anni Ottanta. Cominciai a firmare Bad Trip Productions tutta una serie di opere di grafica underground, tipo volantini di concerti, articoli e disegni per fanzine, cartoline postali xilografate o fotocopiate e francobolli o timbri destinati al network della mail art. Bad Trip voleva significare molte cose: era riferito alla mia situazione personale, a quella locale e andava benissimo anche per quella global-planetaria. Inoltre, era una citazione per adepti: ero un fanatico della scena punk californiana di seconda generazione, gruppi hardcore tipo Germs, Black Flag, Fear, Dead Kennedys e così via, e Bad Trip Records era il nome dell’oscura casa discografica di uno di questi, gli Angry Samoans. Bad Trip, come “No Future”, era anche uno slogan politico, il riassunto di quello che pensavamo del mondo: Reagan, la Thatcher, i missili Cruise, gli yuppies, la demenza catodica dilagante, la volontà dei ceti culturali dominanti di cancellare la storia dei movimenti del passato, un tentativo che rischiava di lasciarci senza futuro e senza passato: era davvero un “cattivo viaggio”!
Qualche anno dopo, frequentando l’Accademia di Belle Arti di Carrara, circondato da studenti servili e insegnanti completamente ignoranti su tutto quanto ci fosse di interessante e innovativo nel mondo dell’arte e della cultura contemporanee, decisi, in perfetto stile patafisico, di autoproclamarmi Professore, in polemica con la loro patetica e fasulla psicogerarchia.
VB: L’arte moderna, nata sulla spinta rivoluzionaria delle avanguardie storiche, pare essere divenuta oggi un’attività tra le più conformiste, borghesi e mercificate: è ancora possibile essere iconoclasti dall’interno del mondo dell’arte?
PBT: La società contemporanea ha ereditato dalle avanguardie e dal loro sviluppo storico fino ai giorni nostri un nuovo concetto di arte, rispetto a quanto si intendesse più rigidamente con questo termine fino agli inizi del 1900, e, in particolare dal dadaismo (1) in poi, è diventato chiaro a tutte le persone realmente democratiche come tutto possa essere considerato arte e come chiunque possa praticarla; per esempio non è più assolutamente necessario diplomarsi all’Accademia di Belle Arti o avere questo o quel maestro per essere considerato un artista dalla società, come accadeva in passato; allo stesso modo un’opera d’arte, per essere riconosciuta tale, non deve per forza essere creata con materiali cosiddetti nobili (come pittura ad olio, marmo o bronzo).
Se accettiamo il principio che chiunque possa fare l’artista, indipendentemente dagli studi fatti, dalla classe sociale di provenienza, dalle opinioni politiche, ecc., e che costui possa usare qualunque tipo di materiale e strumento, ne consegue che il mondo dell’arte possa essere tutta la società, un luogo senza recinti concettuali dove chiunque può, tornando alla tua domanda, scegliere tra gli altri il ruolo scomodo di artista iconoclasta (2).
Per quanto riguarda il mio lavoro, poiché generalmente creo immagini ex-novo, il termine iconoclasta mi sembra non calzi perfettamente, sia nell’accezione storica della parola (gli iconoclasti furono eretici che, non ammettendo il culto delle immagini, le distruggevano), sia nel significato moderno di nemico delle fame fatte; userei più genericamente il termine contro-culturale, intendendo in particolare come iconoclasta chi usa immagini già note e in qualche modo sacre ribaltandone il senso come per esempio Marcel Duchamp (3) che aggiunge i baffi e il pizzetto alla Gioconda o, venendo ad esempi che riguardano la punk-art più recente, Jamie Reid (4) che ficca la spilla da balia nella bocca della regina Elisabetta o Winston Smith (5) che produce la Gioconda punk. Personalmente considero il mondo dell’arte come un grosso iceberg di cui spunta fuori solo una piccola parte, cioè il mercato dell’arte. Siccome chi investe denaro e/o crediti culturali sull’arte, cioè istituzioni pubbliche o private, banche, industrie, stati, ecc. difficilmente compra o valorizza opere dai contenuti iconoclasti, radicali, rivoluzionari, critici rispetto alla propria contemporaneità o che mettano in dubbio in qualsiasi maniera gli status-quo delle gerarchie finanziarie, culturali e politiche esistenti, è facile e probabile che sulla punta dell’iceberg, al sole fuori dall’acqua, ci siano autori addomesticati e solo pseudo-moderni, che rifanno magari il verso all’infinito a questa o quella ex-avanguardia, morta e storicizzata da anni.
Al di sotto dell’arte espressione di quell’insieme di interessi che chiamiamo cultura dominante, nella parte subacquea dell’iceberg, c’è la contro-arte, espressione delle contro-culture. Quest’ultima avrà difficilmente un posto al sole, sarà sempre sottovalutata dal mercato ufficiale, e verrà forse ripescata, rivalutata e storicizzata solo quando i suoi protagonisti saranno stati messi nelle condizioni di non nuocere (morti o ricondotti alla ragione dai bisogni materiali della vita!). Specularmente, tutta una serie di artisti specializzati nel non dire nulla di nuovo o critico, saranno sempre sopravvalutati.
MK: Trovi che tutto ciò sia fisiologico alla società? Allora è vero: il denaro e il potere appestano la creatività?!
PBT: Già, tutto ciò è fisiologico e sintomatico della società bacata in cui viviamo; il denaro appesta, anche se, è bene chiarirlo subito, penso ci siano cose che appestino molto più del denaro, come per esempio la miseria o l’impotenza culturale.
MP: Esiste una correlazione tra convinzione politica e opera d’arte? Quali sono le possibili connessioni oggi tra arte e rivoluzione?
PBT: Piuttosto che di convinzioni politiche parlerei, nel mio caso, di convinzioni culturali. Certo le convinzioni politiche contingenti, che hai durante l’arco della vita, ti condizionano e ti fanno conoscere e preferire determinati autori o movimenti piuttosto che altri, cioè vanno a contribuire in maniera diretta e fondamentale al tuo percorso culturale, ma non è detto che l’opera le rappresenti sempre, o le comunichi chiaramente, o semplicemente le sottointenda; spesso quando progetto un quadro mi lascio trasportare dal senso estetico partendo da un’idea di base del tema che voglio rappresentare: per esempio la mancanza di libertà, il controllo sociale, l’angoscia del presente, ecc., tutti argomenti forse politicamente attuali, ma che travalicano anche la sfera dell’attualità.
Un certo tipo di rivoluzione esiste, è tra noi, anche se magari non ce ne accorgiamo perché va troppo lenta. Tutti gli scrittori visionari, gli artisti devianti, i musicisti rivoluzionari, gli editori liberi, i registi cinematografici innovativi, gli inventori pazzi, contribuiscono con la propria opera in maniera decisiva all’evoluzione delle opinioni e dei gusti della gente nel progresso del costume della società, in una rivoluzione fredda che nessuno stato, nessun potere militare, religioso, culturale, politico o finanziario può fermare. Ogni artista pop-underground, ognuno nel suo piccolo, anche chi non abbia avuto successo commerciale, né immediato né postumo, con la propria opera, come un’amanita muscaria (6), rilascia spore culturali pronte a rifiorire magari ad anni o chilometri di distanza. Anche in momenti come quello attuale, che per certi versi mi ricordano molto l’inizio degli anni ’80, in molti tengono la brace accesa sotto la cenere.
VB: Ritieni che quanto appreso alla scuola d’arte sia stato d’aiuto per la tua formazione? Ti senti maggiormente influenzato dalla storia dell’arte (penso ad es. al tema classico dell’Apocalisse) o da forme espressive contemporanee come musica, cinema, fumetto?
PBT: Il fatto di aver potuto frequentare ed essermi in seguito diplomato alla sezione di scultura dell’Accademia di Belle Arti di Carrara mi è stato di grande aiuto in numerosi campi. Sebbene fino ad oggi abbia prodotto relativamente poche sculture a tuttotondo (7), c’è un forte senso del volume che si manifesta nella mia opera bi-dimensionale, sia nei quadri che nelle precedenti opere grafiche in bianco e nero, certo un’eredità dei miei studi e pratiche scolastiche. Mi ricordo che all’epoca bisognava dare un sacco di esami teorici (tipo storia dell’arte, anatomia, pedagogia, semiologia, teoria e tecnica dei mass media, ecc.) e se si voleva evitare di pagare le tasse scolastiche si doveva superare una determinata votazione globale annuale piuttosto alta, cosicché personalmente mi impegnavo anche in materie che già allora mi interessavano assai poco e che in seguito non mi sarebbero servite a granché, soprattutto a livello professionale. In particolare, per quel che riguarda la storia dell’arte, argomento molto vasto e interessante, a seconda degli insegnanti che ti capitavano, veniva spezzettata in lezioni, studi ed esami su determinati autori o movimenti, la cui conoscenza era scarsamente utile alla realizzazione dei miei progetti di allora e anche futuri. Potevo però, in quanto iscritto ai corsi, frequentare a piacimento una libreria scolastica decisamente imponente e prendere privatamente informazioni sull’opera degli artisti e sulla storia dei movimenti che più mi attraevano.
Naturalmente sono convinto dell’importanza della cultura e dell’informazione e che più cose si conoscono più i nostri strumenti per capire il mondo che ci circonda sono appuntiti indipendentemente che questa cultura ci venga trasmessa dalla scuola, dalla tv, dal computer, dal centro sociale, dalla rivista o dal libro, ecc. Ognuno di noi, unico ed irripetibile quanto si vuole, finisce per diventare anche una somma, un ricettacolo di conoscenze e storie precedenti, e non escludo che la memoria scolastica dei pittori del passato a cui ti riferisci, sia magari in qualche angolo latente del mio cervello e venga ogni tanto inconsciamente a galla. Ma più che da quelle della storia dell’arte sono contagiato dalle apocalissi della storia e da quelle della quotidianità, che vivo giornalmente uscendo per la strada, leggendo il quotidiano o accendendo un telegiornale qualsiasi; questo per quanto riguarda i contenuti del mio lavoro, quello che voglio e tento di immaginare, esprimere, comunicare. Per quel che concerne invece la forma, penso che il mio stile compositivo e pittorico sia stato, all’origine, pesantemente influenzato da artisti della Pop Art (8) americana, e più in particolare dall’opera di Andy Warhol (9) e Roy Lichtenstein (10), che a loro volta avevano mediato il loro stile dal fumetto popolare e dalla grafica pubblicitaria della loro epoca. Come loro accosto colori piatti e violenti sulla tela ai quali sovrappongo in seguito le tonalità più scure, senza usare sfumature e ottenendo alla fine una impronta molto grafica. Poi certamente è presente una forte influenza della Kustom art (11) e dell’arte psichedelica (12) storica, e di tutta l’arte Pop underground (13), l’arte punk (14), il graffitismo (15), che ne sono derivati fino ai giorni nostri e di cui anch’io faccio parte. Sicuramente ci si può informare meglio e seguire queste scene solo frequentando le persone giuste o collegandosi al loro sito internet, acquistando riviste contro-cult, leggendo libri e fumetti underground e ascoltando musica cyberpunk, piuttosto che frequentando una scuola qualsiasi.
MP: L’aspetto paranoico, la visione pessimistica del futuro, le atmosfere cupe, sono caratteri fondamentali dei tuoi lavori, sia nei fumetti di qualche anno fa che nei quadri di adesso, il passaggio dal bianco nero al colore ha per assurdo potenziato queste caratteristiche, insomma come dire che il mondo continua ad andare peggio nonostante il colore.
PBT: Il mio interesse precoce verso il disegno in bianco e nero, la xilografia (16), le xerografia (17) e altre tecniche di incisione/riproduzione monocromatica è da correlarsi con l’attrattiva altrettanto precoce verso la stampa underground e la necessità, che ho sentito da subito, di auto-produrre anche solo micro-tirature dei miei lavori. Partendo dall’uso di un vecchio ciclostile di un circolo ML, passando per l’eliografia (18), la fotocopiatrice, la serigrafia, la tipografia, fino ad arrivare ai giorni nostri dove la maggioranza di case editrici e riviste con cui collaboro si può permettere pagine a colori solo per la copertina, mi è stato naturale specializzarmi nella tecnica del disegno in bianco e nero, di cui sono diventato un vero e proprio professore!
Il bianco e nero è una tecnica povera che permette un grado povero di possibilità espressiva; la ricchezza del colore permette invece una maggiore forza. È questa ricchezza, unita al fatto che i quadri sono molto più grandi delle stampe in genere, a rendere, per esempio, un disegno angosciante ancora più angosciante. Ti faccio un esempio classico per chiarire meglio il concetto: chi vede dal vivo il quadro ad olio L’urlo di Edvard Munch (19) rimane letteralmente agghiacciato. Invece la versione xilografica in bianco e nero dello stesso autore è certo meno coinvolgente, ma è il massimo per la stampa, tant’è che è stata usata dai grafici di tutto il mondo centinaia di volte, fino ad arrivare alla mitica versione di Winston Smith, dove dietro al personaggio urlante c’è un fungo atomico.
VB: Sono cambiati i tuoi modelli di riferimento, da quando hai iniziato a disegnare ad oggi? Quali sono gli autori che stimavi maggiormente quando avevi vent’anni e quali oggi?
PBT: Ho cominciato ad acquistare e a leggere fumetti da ragazzino, a 13 o 14 anni; allora il mio disegnatore preferito era Magnus (20), che, in coppia col soggettista Bunker (21), aveva da poco rivoluzionato il fumetto popolare italiano con personaggi tipo Satanik, Kriminal, Alan Ford, dei quali andavo pazzo. Sono passato dal copiare i disegni di Magnus a fare le prime grafiche originali, magari copiando da fotografie, e i primi fumetti qualche tempo più tardi, a 17 anni. Mi ricordo che, con i primi punx di La Spezia, facevamo una fanzine che si chiamava “Archaeopteryx” (22) e lì sopra c’erano i miei primi disegni a china autoprodotti. Già l’anno prima avevo redatto da solo due numeri di una zine fotocopiata che si chiamava semplicemente “Anarchy”, dove però, come immagini, non c’erano disegni ma solo collage di foto storiche della Seconda Guerra Mondiale (gerarchi nazisti, kamikaze, distruzioni varie) miste alle foto dei personaggi politici del momento (Cossiga, Andreotti, Craxi, ecc.) prese dall’“Espresso” e “Panorama”.
Ci riunivamo nei locali di Radio Popolare Alternativa, una radio fondata dagli autonomi spezzini, prima del nostro programma collettivo di musica e tematiche punk, nella stanzetta dall’altra parte del vetro della sala trasmissioni, dove c’erano un tavolazzo in formica con delle sedie e pacchi di riviste di movimento invendute (“Controinformazione”, “Metropoli”, manuali di Stampa Alternativa, ecc.) da cui attingevamo spunti ed immagini. All’inizio la rivista era scritta e disegnata su un unico foglio di carta lucida che poi veniva stampata in eliografia da una sola facciata, diventando un grosso poster. Abbiamo tirato più di 100 copie dei primi due o tre numeri e, visto il successone, abbiamo in seguito stampato da 500 a 1000 copie dei numeri successivi, alla tipografia degli anarchici a Carrara. A quell’epoca mi interessava soprattutto la grafica punk e di movimento, i primi introvabili fumetti underground americani, tradotti nei dieci anni precedenti da oscure case editrici contro-cult, il lavoro di Stefano Tamburini (23), che ho conosciuto tramite “Il Male”, i pochi numeri di “Cannibale” e, in seguito, su “Frigidaire”.
Tra i fumetti overground mi piacevano molto alcuni maestri argentini (Alberto Breccia (24), Enrique Breccia (25) e Josè Muñoz (26)), i francesi del gruppo di Metal Hurlant (27) e, in particolare, mi affascinavano le lunghe storie liberate dalle costrizioni editoriali tradizionali; in tal senso due storie a fumetti, tutt’oggi tra le mie preferite di sempre, sono “Il garage ermetico di Jerry Cornelius” di Moebius (28) e “Le straordinarie avventure di Penthotal” di Andrea Pazienza (29). Queste storie, oltre che essere entrambe in bianco e nero, si caratterizzano per il fatto che il disegnatore decideva il loro proseguimento giorno per giorno, puntata dopo puntata, senza conoscerne la fine. Venendo al presente, non solo a livello stilistico ma anche, se vogliamo, merceologico sono certamente debitore verso la scena underground americana; mi riferisco a quei pittori che mi sono stati modello professionale, per esempio Robert Williams (30), Joe Coleman (31), Todd Schorr (32), e tutti i loro epigoni recenti a me coetanei (33), che sono nel tempo passati dalla grafica su tutti i supporti possibili (hot rods, tavole da surf e skate, t-shirt, comix, copertine di dischi, ecc.) alla pittura su tela in copia unica.
Infine, per farla breve, eccoti la hit-parade degli insiemi culturali, degli argomenti che mi interessano particolarmente e che hanno influenzato la mia attività di pittore:
1) Arte tribale di ogni epoca (34).
2) Storia delle idee cosiddette utopiche, da Proudon, Bakunin, Marx ai giorni nostri.
3) Dadaismo ed Espressionismo (35).
4) Arte pre-colombiana.
5) Letteratura distopica (36): George Orwell (37), Aldous Huxley (38) e Ray Bradbury (39).
6) Letteratura sperimentale, allucinata e pre-cyber ( William S. Burroughs (40), J.G. Ballard (41) e Philip K. Dick (42).
7) Patafisica (43), da Alfred Jarry alla Chiesa del SubGenio (44).
8) Art Brut (45).
9) Cinema libertario, da Luis Buñuel a Stanley Kubrick.
10) Cinema fanta-psycho (Ridley Scott, David Cronenberg (46), John Carpenter, ecc.).
Più naturalmente tutta l’arte, la musica, la letteratura underground di cui ho parlato fin qui, e molto altro ancora!
VB: Indipendentemente da quello che ritieni dovrebbe essere il ruolo delle arti visive nella nostra società (educativo, ludico, spirituale, ecc.), trovi che esista ancora o che abbia un senso una scala di valori che differenzia l’arte da galleria/museo dalla copertina di un libro o dalla grafica di un videogioco?
PBT: Le scale di valori, le gerarchie politiche o culturali, sono una caratteristica di praticamente tutte le società umane finora conosciute. Se vogliamo, da un punto di vista libertario, un progresso minimo, rispetto alle società del passato, c’è stato e lo possiamo riscontrare nel fatto che non esiste più un’unica scala di valori come avveniva nell’antichità, o due maggiori e contrapposte nella storia più recente (chiesa/stato, fascismo/democrazia, comunismo/capitalismo, ecc.), ma molteplici scale di valori a seconda delle ideologie e opinioni e interessi economici delle famiglie, tribù, stati, comunità reali o virtuali, compagnie commerciali e categorie professionali a cui si appartiene o si crede di appartenere. Indipendentemente da tutto ciò, ci sono delle differenze oggettive a livello progettuale nei tipi di opere che mi hai citato che, di per sé, creano diverse valutazioni commerciali degli artefatti. Lasciando perdere videogames e computer art e rimanendo nel mio campo di artista che usa strumenti e materiali più tradizionali, fare un quadro in copia unica non è la stessa cosa che fare lo stesso soggetto perché, per esempio, venga usato come illustrazione della copertina di un libro, c’è la differenza che passa per convenzione tra “arte” e “arte applicata”.
Un quadro lo puoi fare grande e ad olio, l’originale di una copertina per la stampa è in genere molto più piccolo rispetto a un quadro, su un supporto cartaceo (quindi più povero rispetto alla tela) e colori adeguati, o addirittura può essere fatto interamente col computer, cioè senza usare nessun tipo di materiale tradizionale. Anche se ogni tanto succede il contrario, cioè che la riproduzione di un quadro venga usata come illustrazione di copertina di un libro, o che l’originale di una copertina venga appeso alle pareti del museo, di una galleria, o semplicemente in casa del collezionista, alla fine un’opera dello stesso autore, più grande, fatta con materiali più costosi e che avrà richiesto un maggior tempo di realizzazione, varrà quasi sempre di più di un originale più piccolo, indipendentemente dalla funzione originaria per cui è stato creato. Per via della forza di gravità e per motivi economici e di razionalizzazione dello spazio, la maggior parte delle case, dei palazzi, delle gallerie e dei musei sarà sempre costruita con pavimenti orizzontali e mura verticali sulle quali appendere ogni sorta di artefatto bidimensionale; in questa funzione sempre attuale non ci sono differenze tra un quadro, un poster, una fotografia o una stampa.
VB: Quali tecniche utilizzi prevalentemente nel tuo lavoro e quali ti piacerebbe sperimentare?
PBT: I disegni in bianco e nero sono fatti con penne e pennarelli neri indelebili, di quelli usa e getta acquistabili in qualsiasi cartoleria, su carta Fabriano F4; a volte preparo le parti più difficili con gomma e matita. I collage sono fatti con forbici, colla stick e ritagli da settimanali pop-trash incollati su carta Fabriano o cartoncino Bristol. I quadri sono fatti a pennello, con colori acrilici di qualsiasi marca, su tela di svariate dimensioni. In passato ho prodotto un buon numero di sculture di gesso o terracotta, in seguito dipinte con smalti o acrilici. Attualmente, da circa due anni sto producendo, in coppia con la mia compagna Jenamarie, che è scultrice, molte sculture che abbiamo chiamato “Wall-Heads”, cioè altorilievi di teste di personaggi bizzarri da appendere a muro. Le realizza in cartapesta, usando cartone da imballaggio, carta di giornale e colla solubile da parati. Dopo averle fatte asciugare e protette con più strati di gesso acrilico, le dipingo con colori acrilici. In futuro mi piacerebbe dedicarmi di più alla pittura murale da interni; ho un sacco di progetti in proposito, ma non ne parlo volentieri, sono top-secret!
MK: Come mai, secondo te, la parte che mi piace di più del tuo lavoro, quella realizzata con la tecnica del collage, è considerata dai più marginale e rimane piuttosto in ombra?
PBT: L’uso di parti pre-esistenti e riciclate dell’opera d’arte, o addirittura il concepimento di quadri e sculture composte interamente da pezzi di scarto ha una storia piuttosto lunga. I cubisti (47) Pablo Picasso (48) e Georges Braque (49) inserirono, già dal 1910, nelle loro composizioni pittoriche pezzi di giornale, biglietti di teatro, impagliature di sedie, carte da gioco, stoffe. Il futurista (50) Carlo Carrà (51) creò la nota opera intitolata Dimostrazione interventista del 1914 quasi esclusivamente con titoli e scritte ritagliate da giornali e volantini dell’epoca. Subito dopo i dadaisti Raoul Hausmann (52) e Hannah Höch (53) inventarono il fotomontaggio artistico (in realtà dei primi fotomontaggi rudimentali e minimali erano già apparsi in molte serie di cartoline satiriche popolari europee dai primi del ’900), seguiti da John Heartfield (54), George Grosz (55), Hans Arp (56), Max Ernst (57), Marcel Duchamp, Francis Picabia (58). A Raoul Hausmann si deve il primo “assemblage” in scultura, con l’opera Teste di legno del 1918. In seguito una moltitudine di artisti ha usato ogni sorta di materiale per creare le proprie opere, indagando in tutte le direzioni tracciate da quei primi pionieri.
Nonostante questa storia sicuramente nobile, il collage viene considerato da molti una tecnica minore, forse per via del pregiudizio diffuso (che lo accomuna ad altre arti come la fotografia e, se vogliamo, la computer-art) che sia una pratica più facile e veloce rispetto, per esempio, alla pittura tradizionale. Per quanto mi riguarda è un fatto che io trovi molto più difficile vendere un collage rispetto ad un quadro dipinto, anche se, magari, ho impiegato lo stesso tempo di realizzazione. Così, generalmente, non li espongo più in galleria anche se continuo a farli. Al di là di considerazioni più serie, dirò la verità: provo una soddisfazione morbosa ad andare a frugare tra i bidoni della spazzatura in cerca di riviste buttate da ritagliare!
VB: Esiste un qualche tipo di interrelazione fra la tua pittura e le tue esperienze come techno DJ?
PBT: La musica underground, in molte delle sue forme, continua ad essere uno dei miei pallini. Quando la cosa è tecnicamente possibile mi piace curare personalmente la colonna sonora delle mie mostre, non solo per sottolineare l’importanza della musica tra le mie fonti ispiratrici o per comunicare le mie conoscenze musicali agli altri, ma anche soltanto per riempire il silenzio tipico della galleria specializzata in pittura e dare un tocco di multimedialità al tutto. Sono un feticista fanatico del vinile in tutte le salse. Ogni tanto, per divertimento, organizzo performance pubbliche da retro-dj, per socializzare le mie ultime scoperte a prezzo stracciato, in improbabili negozi dell’usato e fiere del pattume denominato modernariato. Non sono un granché professionale in quanto poco informato sulle ultime tendenze: compro pochissimi cd nuovi perché costano troppo ed ho sempre odiato il loro packaging tipico (molto povero, viste le dimensioni ridotte, rispetto al vecchio lp in vinile). Quando posso mi faccio registrare dagli amici i gruppi nuovi di cui non posso fare a meno per le mie serate; spero che, con l’avvento degli Mp3, i cd diventino presto desueti e dimenticati. Tornando ai miei generi preferiti, traffico, metto e sento rock and roll storico (’50/’60), rock (’60/’70), sperimentale e new wave (’70/’80), punk in tutte le salse, industrial e techno (’80/’90).
VB: I tuoi primi lavori pittorici attingevano all’immaginario dei tuoi fumetti, ma ora che da qualche anno produci soprattutto quadri, ti capita a volte l’inverso, ovvero che i quadri ti ispirino mentre dipingi delle storie che vorresti narrare (magari tramite istallazioni multimedia, sculture, ecc.)?
PBT: Non ho mai considerato i miei comix come veri e propri fumetti. A volte le storie erano solo un espediente per poter rappresentare personaggi e paesaggi psichici finiti. Credo di avere una attitudine/abilità per la composizione di immagini autoconclusive che, in passato, diventava un limite, quando si trattava di produrre fumetti. Ho cercato per un po’ di reprimere questa attitudine per dispiegarla ora attraverso la pittura. Ogni tanto mi capita, magari su richiesta o perché sono a corto di nuove idee, di attingere dalla mia passata produzione per la stampa e di usare queste vecchie tavole un po’ come bozzetti preparatori per nuovi quadri a colori. Probabilmente ognuno dei miei quadri può ispirare svariate storielle non solo a me che li ho fatti ma anche a chi li guarda; se poi chi osserva conosce i miei comix, può anche succedere che il personaggio rappresentato rimandi alla psycho-storia da cui è tratto.
VB: Come giudichi il fenomeno internazionale, variamente etichettato (outsider art, arte psichedelica, rock art, Surreal Pop, ecc.) che vede una rivalutazione delle capacità tecniche “manuali” dell’artista e di tematiche “popolari” attinte dalle sottoculture, fumetti inclusi? Lo trovi un fenomeno eminentemente commerciale o un movimento che si inserisce a buon diritto nella storia dell’arte del nostro secolo?
PBT: Tra le molte tecniche di autovalorizzazione professionale non ci sono soltanto l’abilità a fare parlare di sé i media o il saper strizzare l’occhio al politico o gallerista di turno. Molti artisti preferiscono il vecchio metodo di diventare sempre più bravi attraverso il lavoro maniacale e continuo. Dopo anni di lavoro oscuro e precario, pur esprimendo contenuti “duri” (ribellione, senso dell’ingiustizia, devianza, ecc.) verso gli establishment culturali, alcuni autori sono diventati talmente “bravi” in senso professionale tradizionale, da non poter più essere ignorati dalle istituzioni culturali ufficiali e quindi dal grande mercato dell’arte da cavalletto. Però, sebbene le quotazioni di alcuni tra questi, ad esempio Robert Williams, raggiungano cifre ragguardevoli, sono sempre sottovalutati rispetto agli artisti di punta del mercato internazionale, tipo Jeff Koons (59) e tutta l’altra fuffaglia post-moderna di cui sono piene le gallerie del jet-set.
VB: In Italia, secondo te, esistono ancora preconcetti nei confronti di artisti che utilizzano immagini di derivazione fumettistica?
PBT: La critica colta e rampante, che influenza le grandi istituzioni pubbliche e private, è piuttosto attenta all’evoluzione del ruolo dell’artista e dell’arte nella società, e disposta, più che in passato, ad accettare nuovi medium e meticciati culturali vari, portata, com’è, a considerare positivo per il mercato qualsiasi tipo di novità. Il grosso del mercato dell’arte rimane invece sostenuto da collezionisti alla vecchia maniera, che magari comprano solo quadri ad olio con corniciona dorata, o fanno raccolte tematiche, solo paesaggi, pezzi di un determinato periodo storico o movimento o solo artisti della propria città o zona geografica. Per venire incontro a questo tipo di clientela i galleristi e critici fanno il loro lavoro, a mio parere senza particolari accanimenti contro l’arte, come la chiami tu, di derivazione fumettistica. Personalmente in passato ho potuto invece riscontrate più volte il contrario e cioè una certa ostilità del mondo ufficiale dell’editoria a fumetti verso chi prova ad uscire dagli schemi della produzione ortodossa e verso gli artisti in genere.
VB: Ci sono soggetti che non dipingeresti mai? Qual è il lavoro più strano che tu abbia mai dipinto?
PBT: Non dipingerei mai, almeno volontariamente, soggetti che istighino al razzismo, al sessismo, alla guerra, alla pena di morte, alla schiavitù fisica o morale.
Ho dipinto su: porte, finestre, cancelli, vasi, tavoli, sedie, frigoriferi, televisioni, apparecchi radiofonici, moto, motorini, caschi, mobili di abitazioni e di negozi di dischi e libri, muri di case, di centri sociali e di attività commerciali, interni ed esterni, sculture, bassorilievi e altorilievi, miei, di altri, e trovati nella spazzatura, cartelle, valigie, giubbotti, t-shirt e pantaloni.
MK: Mi dai la ricetta per ottenere un buon “cattivo viaggio”?
PBT: Si soffriggono due spicchi di orwell, un bakunin sbucciato e qualche foglia dada, tritati finemente, per cinque minuti. Si aggiunge un barattolo di espressionismo a pezzettini e si fa cuocere il tutto per quarantacinque minuti a fuoco lento in un tegame precolombiano.
A parte si prepara la sfoglia del subgenius: occorre un chilo di ballard zero zero, mezzo litro di dick e un pizzico di Burroughs impastati insieme con mastra e mattarello patafisico.
In un altro piatto punk a parte si tritano due etti di mozzarella di carpenter.
Imburrata la teglia con margarina jodorowsky, si dispongono i tre preparati, nell’ordine che ti ho detto, in vari strati fino a riempirla.
Prima di metterla in forno occorre una spruzzata finale di buñuel reggiano grattugiato.
Si cuoce tutto per quaranta minuti a centocinquanta gradi huxley.
Consiglio di mangiarlo accompagnato da birra cronenberg in boccale cybertribale.
NOTE
1 – Movimento artistico fondato a Zurigo nella primavera del 1916, in una piccola taverna chiamata “Cabaret Voltaire”, dal poeta rumeno Tristan Tzara, gli scrittori tedeschi Hugo Ball e Richard Huelsenbeck e il pittore/scultore Hans Arp.
B: G.C. Argan, L’arte moderna 1770/1970, Sansoni 1970; R. Huelsenbeck, En avant dada. Storia del dadaismo, Nautilus 1989.
2 – Si veda l’articolo “Iconoclastia – la prima guerra per il controllo dell’immaginario popolare” di Raf Valvola, da “Decoder” n. 3, ShaKe edizioni 1988.
3 – Marcel Duchamp (1887-1968), artista attivo dalla prima decade del 1900 e che diverrà in seguito uno dei protagonisti del movimento dadaista.
B: G.C. Argan, op. cit.
4 – Jamie Reid (nato 1947), autore noto soprattutto per essere stato il creatore della grafica e delle copertine di dischi dei Sex Pistols, aderente già dalla fine degli anni ’60 al situazionismo.
B: “Angeli & Molotov”, articolo da “Decoder” n. 5, ShaKe edizioni 1989.
5 – Winston Smith, pseudonimo (è originariamente il nome del protagonista del romanzo 1984 di George Orwell) dell’autore americano di collage e disegni noto per la sua collaborazione col gruppo musicale Dead Kennedys e la relativa casa discografica Alternative Tentacles Records.
B: W. Smith, Act like nothing’s wrong – The montage art of Winston Smith, Last Gasp 1994; W. Smith, Art-Crime – The montage art of Winston Smith Volume 2, Last Gasp 1998.
6 – Fungo allucinogeno considerato velenoso nella totalità dei manuali micologici ufficiali.
B: G. Samorini, Amanita muscaria, Nautilus 1998.
7 – Cioè scolpite e fruibili a 360°.
8 – Vasto movimento artistico nato tra la fine degli anni ’50 e l’inizio dei ’60. Secondo molti storici il termine apparve per la prima volta sotto forma di scritta in un collage, andato perduto, dell’artista inglese Richard Hamilton. Il critico inglese Lawrence Alloway introdusse per primo il concetto di Pop Art in campo artistico-letterario; all’inizio avrebbe dovuto significare un tipo di arte critica di fronte agli oggetti e alle immagini pubblicitarie della produzione dell’industria consumistica. In seguito, dopo la prima ondata Pop americana, andrà a significare, più genericamente, tutta l’arte influenzata a livello estetico dai linguaggi popolari di massa (grafica pubblicitaria, fumetto, tv, ecc.).
9 – Andy Warhol (1928-1987), il più famoso pittore della Pop Art americana, attivo anche in campo cinematografico e musicale.
B: Klaus Honnef, Andy Warhol, Taschen, 1990; G.C. Argan, op. cit.
10 – Roy Lichtenstein, pittore Pop americano vivente (n. 1923).
B: Janis Hendrickson, Lichtenstein, Taschen 1988; G.C. Argan, op. cit.
11 – L’arte di dipingere automobili, motociclette, hot rods (auto truccate), tavole da skateboard, ecc. Pionieri di quest’arte, dagli anni ’50, furono i pittori americani Von Dutch, Ed “Big Daddy” Roth e, in seguito, Robert Williams.
B: Kustom Kulture (a cura di C.R. Stecyk e B. Colburn), Last Gasp/Laguna Art Museum 1993; Matteo Guarnaccia, Skate, Stampa Alternativa 1989.
12 – Qui si fa riferimento ai primi illustratori e pittori americani legati, dalla fine degli anni ’60, alla prima scena musical-culturale psichedelica. Griffin, Kelley, Moscoso, Mouse, e tutti gli altri, noti nel mondo intero soprattutto per la loro produzione di poster musicali e copertine di dischi.
B: P.D. Grushkin, The Art of Rock, Abbeville Press 1987; C. Branzaglia, Psychoposter, Max Books 1992; V. Baroni, The Psychedelic Years, Stampa Alternativa 1990; G. Mc Clelland, Rick Griffin, Paper Tiger 1980; M. Guarnaccia, Almanacco Psichedelico, Nautilus 1995.
13 – Si intende tutta l’arte proveniente “dal basso”, dalla stampa, dai movimenti giovanili, dalle controculture.
B: P. Belsito, Notes from the Pop Underground, Last Gasp 1985; M. Guarnaccia, 1968-1988 Arte psichedelica e controcultura in Italia, Stampa Alternative 1988; “ReSearch” n. 11, Pranks!, ReSearch publications 1987. Per quanto riguarda l’arte del tatuaggio: “ReSearch” n. 12, Modern Primitives, ReSearch publications 1989.
14 – Arte legata soprattutto alla produzione di vestiti, disegni, copertine e manifesti di concerti.
B: V. Hennessy, In the Gutter, Quartet Books 1978; P.D. Grushkin, op. cit.; P. Belsito/B. Davis/M. Kester, Street Art, Last Gasp 1981; M. Philopat, Costretti a sanguinare, ShaKe edizioni 1997.
15 – Arte derivata dai murales ma eseguita, dalla fine degli anni ’70 in USA, prevalentemente con colori in bomboletta spray.
B: F. Alinovi, Arte di frontiera, Mazzotta 1984.
16 – Antica tecnica di stampa, in origine monocromatica, che prevedeva l’incisione manuale su matrice in legno del negativo del disegno che si voleva stampare. Oggigiorno questo tipo di incisione artistica viene eseguita su materiali industriali (linoleum) o prodotti appositi (adigraf).
17 – Stampa con fotocopiatrice.
18 – Tecnica di stampa su grandi formati che prevede l’utilizzo di matrici disegnate/scritte direttamente su lucido o impresse su carta acetata.
19 – Edvard Munch (1863-1944), pittore norvegese pioniere e punto di riferimento dell’Espressionismo tedesco.
B: G.C. Argan, op. cit.
20 – Pseudonimo di Roberto Raviola, disegnatore di fumetti popolari, recentemente scomparso, attivo dall’inizio degli anni ’60.
21 – Pseudonimo di Luciano Secchi, soggettista, sceneggiatore ed editore.
22 – Animale preistorico per metà rettile (bocca dentata) e per metà uccello (volava, aveva penne e piume).
23 – Stefano Tamburini (1955-1986), personaggio di spicco della scena artistico-editoriale europea di sempre, disegnatore, soggettista, sceneggiatore, grafico, editore, artista sperimentale e critico musicale.
B: S. Tamburini/T. Liberatore, Ranxerox, Primo Carnera editore 1981; S. Tamburini/T. Liberatore, Ranxerox 2, Primo Carnera editore 1983; S. Tamburini, Muscles – Antologia 1980/1984, Primo Carnera editore 1984; Autori Vari, Una matita a serramanico – omaggio a Stefano Tamburini, Millelire Stampa Alternativa 1994.
24 – B consigliata: A. Breccia/E. Breccia/H. Oesterheld, Ché, Topolin edizioni 1995; A. Breccia/E. Sàbato, Rapporto sui ciechi, R&R editrice 1994; A. Breccia, Un certo Daneri, Editiemme 1980.
25 – B consigliata: A. Breccia/E. Breccia/H. Oesterheld, op.cit.; A. Breccia, La guerra della Pampa, Editiemme 1980.
26 – B consigliata: José Muñoz (disegnatore) & Carlos Sampayo (soggettista-sceneggiatore), Nel bar, Produzioni Cartoons 1986; Muñoz & Sampayo, Sophie, L’isola Trovata 1980; Muñoz & Sampayo, Sudor Sudaca, R&R editrice 1992.
27 – Rivista a fumetti apparsa in Francia a metà degli anni ’70, e successivamente in Italia. Presentava lavori della nuova onda francese (Moebius, Druillet) e internazionale (Corben, Caza, Bilal).
28 – Pseudonimo di Jean Giraud (1938-2012), disegnatore francese attivo anche in campo cinematografico.
B: J. Giraud/Moebius, Il mio doppio io (autobiografia), DeriveApprodi 1999; Moebius/Jodorowsky, Gli occhi del gatto, Alessandro Distribuzioni 1985; Moebius/Jodorowsky, Ciclo dell’Incal (6 volumi), Editori del Grifo 1988; Moebius, Visioni di fine millennio, Nuages 1997; Moebius, Chaos, Alessandro Distribuzioni 1991.
29 – Andrea Pazienza (1956-1988), disegnatore.
B: A. Pazienza, Le straordinarie avventure di Pentothal, Milano Libri 1982; A. Pazienza, ll libro rosso del Male, Il Male 1981; A. Pazienza, Zanardi, Primo Carnera editore 1983; A. Pazienza, Perché Pippo sembra uno sballato, Primo Carnera editore 1980.
30 – Robert Williams, pittore americano attivo dagli anni ’60.
B: C.R. Stecyk, Malicious Resplendence – The paintings of R. Williams, Fantagraphics 1997.
31 – Joe Coleman, pittore e performer americano attivo dagli anni ’70.
B: J. Coleman, Cosmic Retribution – The infernal art of Joe Coleman, Fantagraphics 1992; J. Jarmusch/S. Yau/H. Schechter, Original Sin – The visionary art of Joe Coleman, Heck editions 1997.
32 – Todd Schorr, pittore e illustratore americano attivo dagli anni ’80.
B: T. Schorr, Secret Mystic Rites – The art of Todd Schorr, Last Gasp 1998.
33 – Per avere una panoramica sull’outsider art americana passata e presente, si veda la rivista specializzata “Juxtapoz”, patrocinata da Robert Williams (www.juxtapoz.com).
34 – Si veda la rivista “The World of Tribal Arts” (Tribarts editions, Market Street 664, San Francisco, CA 94114 USA).
35 – Nell’estate del 1905, a Dresda, quattro studenti di architettura e pittori, Kirchner, Bleyl, Heckel e Schmidt-Rottluff fondano l’associazione artistica denominata Brücke (trad: “Il ponte”). Costoro erano accumunati da idee anarchiche, antiborghesi e anti-industriali e perseguivano un ideale di vita collettiva e comunitaria. L’appellativo di “espressionisti” fu usato, riferito al gruppo della Brücke, per le prima volta nel 1914 dal critico Paul Fechter nel libro Der Expressionismus.
B: G.C. Argan, op. cit.
36 – Distopia: un modello di società oppressiva e spiacevole.
37 – George Orwell (1903-1950), scrittore libertario inglese. Si veda in particolare:
B: G. Orwell, 1984, Oscar Mondadori 1973.
38 – Aldous Huxley (1894-1963), scrittore libertario inglese. Si veda in particolare:
B: A. Huxley, Il mondo nuovo, Oscar Mondadori 1971.
39 – Ray Bradbury (1920-2012), scrittore americano di fantascienza. Si veda in particolare:
B: R. Bradbury, Fahrenheit 451- Gli anni della fenice, Oscar Mondadori 1986.
40 – Si veda: W.S. Burroughs/B. Gysin, ReSearch edizione italiana, ShaKe edizioni 1992.
41 – Si veda: J.G. Ballard, ReSearch edizione italiana, ShaKe edizioni 1994.
42 – Si veda: Philip K. Dick, Mutazioni (a cura di L. Sutin), Feltrinelli Interzone 1997.
43 – Patafisica, o scienza delle soluzioni immaginarie. Termine coniato dal poeta, scrittore ed attore francese Alfred Jarry (1873-1907) nell’opera anarchica Ubu Roi. I proseliti di Jarry fondarono gruppi e collegi di cui fecero parte E. Satie, J. Dubuffet, B. Vian, J. Mirò, G. Apollinaire, M. Duchamp, F. Picabia e numerosi altri pittori, letterati, filosofi, cineasti.
B: Enrico Baj, Patafisica, Bompiani 1982.
44 – The Church of the SubGenius, pseudo-setta libertaria che celebra il potere dell’eccentricità individuale e schernisce ogni tipo di conformismo.
B: Autori Vari, The Book of the SubGenius, Simon & Schuster 1987; Autori Vari, La Chiesa del SubGenius, Prog edizioni 1997.
45 – Art Brut: definizione coniata dal pittore francese Jean Dubuffet per descrivere l’arte spontanea, grezza, ingenua e incolta, prodotta dai “selvaggi”, dai bambini, dai malati di mente, dai criminali.
B: J. Dubuffet, I valori selvaggi, Feltrinelli 1971. Si veda inoltre la rivista specializzata “Raw Vision” (“Raw Vision”, 163 Amsterdam Avenue 203, New York,NY, 10023-5001 USA).
46 – Si veda: S.Grünberg, David Cronenberg, ShaKe edizioni 1999.
47 – Cubismo: corrente funzionalista considerata la prima ricerca analitica sulla struttura funzionale dell’opera d’arte (1908). Oltre ai pittori Picasso e Braque, teorico e critico del cubismo è stato il poeta Guillaume Apollinaire e, in campo musicale, Igor Stravinskij.
B: G.C. Argan, op. cit.
48 – Pablo Picasso (1881-1973), artista spagnolo che fu, tra le altre esperienze e tendenze abbracciate in seguito, co-fondatore del movimento cubista.
B: G.C. Argan, op. cit.
49 – Georges Braque (1882-1963), pittore e scultore francese, co-fondatore del Cubismo.
B: G.C. Argan, op.cit.
50 – Il Futurismo italiano viene considerate il primo movimento di avanguardia, intendendo, con questo termine, un movimento che investe nell’arte un interesse ideologico e prepara un radicale rivolgimento della cultura e del costume, negando in blocco tutto il passato. Il movimento si apre col manifesto letterario di Filippo Tommaso Marinetti (1878-1944) del 1909.
B: G.C. Argan, op.cit.
51 – Carlo Carrà (1881-1966), artista italiano, coautore nel 1910, assieme a Giacomo Balla (1874-1958), Umberto Boccioni(1886-1916), Gino Severini (1883-1966) e Luigi Russolo (1885-1947), del manifesto della pittura futurista.
B: G.C. Argan, op.cit.
52 – Raoul Hausmann (1886-1978), artista austriaco, berlinese di adozione dal 1901, veterano della polemica dadaista.
B: R. Helsenbeck, op.cit.
53 – Hannah Höch (1889-1978), artista che aderisce al movimento dada berlinese (1918).
B: Lea Vergine, L’altra metà dell’avanguardia 1919-1940, Mazzotta 1980; Hannah Höch, Fotomontagen – Gemälde – Aquarelle (a cura di G. Adriani), Dumont Dokumente 1980.
54 – John Heartfield (1891-1968), fotografo e artista, aderisce al dadaismo. Pioniere del fotomontaggio politico.
B: E. Siepmann, John Heartfield, Mazzotta 1978.
55 – George Grosz (1893-1959), grafico, collagista e pittore, noto per la sua partecipazione al dadaismo (1918) e la seguente presa di posizione, in termini di lotta di classe, a favore della rivoluzione e dell’agitazione politica.
B: George Grosz, Vita e opere (a cura di U.M. Schneede), Mazzotta 1977.
56 – Hans Arp (1888-1966), scultore, pittore e poeta francese, ha partecipato contemporaneamente ai movimenti De Stijl e Dada.
B: G.C. Argan, op.cit.
57 – Max Ernst (1891-1976), pittore surrealista.
B: G.C. Argan, op. cit.
58 – Francis Picabia (1878-1953), artista parigino del movimento dadaista, a cui aderirà nel 1918, che lanciò per primo l’idea di un’arte “amorfa”, rimuovendo l’attenzione dall’oggetto rappresentato per concentrarla sul soggetto, sul produttore (arte gestuale).
59 – Jeff Koons (nato 1955), artista post-moderno famoso in Italia per aver sposato la pornostar Cicciolina.
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